Da una parte, v'è l'ennesimo fatto di cronaca che ha come protagonisti cani "vaganti".
Dall'altra parte, il tema della prevenzione del randagismo, più in generale, è tornato alla ribalta dal momento che è attualmente all'esame del Parlamento una proposta di riforma della materia: il Testo Unificato "Nuove norme in materia di animali d'affezione e di prevenzione del randagismo" . Un progetto di riforma che, nonostante le critiche mosse da più parti, ha incontrato larga condivisione e spirito bipartisan durante i lavori preparatori, tant'è che la sua approvazione potrebbe giungere in tempi brevi. Il leading case dal quale muove il presente contributo consiste nell'aggressione di un cane randagio ai danni di un cittadino con conseguente richiesta di risarcimento danni da parte di quest'ultimo. Il core della trattazione risiede nella individuazione del soggetto titolare della legittimazione passiva in giudizio. Si tratta in altre parole di identificare il soggetto responsabile per non aver prevenuto il danno, e a quale titolo. Questione tutt'altro che pacifica.
Prima di proseguire oltre, è bene sin da ora ricordare che di recente la Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi in materia di randagismo affermando il carattere illecito di tale fenomeno.
Tuttavia tale presa di posizione degli ermellini non deve essere interpretata come un lascia passare per la realizzazione di qualsiasi comportamento volto a contrastare il randagismo. Non è possibile, per esempio e ovviamente, provvedere da sé alla soppressione degli animali vaganti. Contrastare in queste ipotesi non equivarrebbe affatto a risolvere il problema.
In materia, il principale referente normativo è la legge n. 281 del 14 agosto 1991, "Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo", che detta le linee guida in merito alla ripartizione dei compiti e delle responsabilità dei diversi soggetti coinvolti.
Ai sensi dell'art. 3, co. 1, della suddetta legge "le regioni disciplinano con propria legge … l'istituzione dell'anagrafe canina presso i comuni o le unità sanitarie locali nonché le modalità per l'iscrizione a tale anagrafe e per il rilascio al proprietario o al detentore della sigla di riconoscimento del cane".
Lo stesso articolo prevede, tra l'altro, che è compito delle Regioni elaborare "un programma di prevenzione del randagismo", consistente in iniziative informative presso i cittadini e corsi di formazione e aggiornamento rivolti agli addetti ai lavori.
All'art. 4, co. 1, si legge che "i comuni, singoli o associati, e le comunità montane provvedono al risanamento dei canili comunali esistenti e costruiscono rifugi per i cani nel rispetto dei criteri stabiliti con legge regionale". Si tratta di strutture il cui controllo sanitario è riservato dal secondo comma dell'art. 3 ai servizi veterinari delle unità sanitarie locali.
Dalla lettera della suddetta legge quadro (destinata, stando alla bozza del Testo Unificato, ad essere abrogata) emerge che l'attività di individuazione e distribuzione dei compiti e delle responsabilità tra comuni e altri soggetti è sostanzialmente delegata alle regioni.
In conclusione, da queste prime battute è possibile acclarare che se la fonte principale risulta essere la legge quadro a livello nazionale, quella fondamentale consiste nelle diverse leggi regionali attuative della prima. E' infatti su quest'ultimo livello che l'interprete dovrà maggiormente operare al fine di individuare il soggetto chiamato effettivamente a rispondere per i danni derivanti dall'aggressione di animali "vaganti".
I differenti punti di vista della giurisprudenza di legittimità.
A prescindere dagli impulsi riformatori che interessano la materia, è senz'altro interessante analizzare il punto di vista della giurisprudenza di legittimità sulla responsabilità connessa al fenomeno del randagismo.
Gli orientamenti giurisprudenziali sono essenzialmente due:
- da un lato, ci sono le sentenze della Corte Suprema in cui fondamentalmente la Pubblica Amministrazione è stata considerata esente da responsabilità a fronte invece dell'esclusiva legittimazione passiva delle Aziende sanitarie locali (Asl);
- dall'altro, invece quelle sentenze con cui gli ermellini hanno statuito la possibilità di chiamare in causa (anche) il Comune in cui l'aggressione è avvenuta.
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